Vincitore sezione F 2017

Pubblichiamo oggi la recensione del libro vincitore della sezione F dell’edizione 2017 del nostro Premio “Passaggi curvi. Poesie non euclidee” dell’autore Gianfranco Isetta, insieme a quella del libro che è risultato invece menzionato “Credere nel corpo” di Bruno Piccinini. 

Gianfranco Isetta, PASSAGGI CURVI. POESIE NON EUCLIDEE

Prefazione di A. Paganardi, Postfazione di I. Mugnaini, puntoacapo, 2014

Il titolo di questa raccolta di poesie di G. Isetta, Passaggi curvi. Poesie non euclidee, indica il procedere oltre, verso una meta non puntualizzata, ed offre al lettore l’idea di un work in progress, di un movimento verso il vasto della vita quale ventaglio dei possibili, come suggerirebbe la seconda parte del titolo, poesie non euclidee, poesie attirate dal fascino degli spazi curvi, pronte a seguire movimenti la cui consistenza è anche ombra e cavità. Se si scorrono i titoli delle sezioni di questo libro (Universi e geometrie, Del tempo, Il caso, Il senso, Dell’amore), siamo subito introdotti all’idea di un piccolo trattato sulle coordinate della vita. La ricerca e la curiosità sono tutte intorno all’ “esile vita”, vita simile al “fruscio degli alberi” (l’antica metafora ritorna, comunicando l’idea di movimento, di atomi lucreziani aggiornati magari negli attuali bosoni), nastro su cui si incidono sogni, delusioni, speranze. Lo spazio, in cui vivono le “forme del mondo”, e il “tempo” (ora descritto come “cerchio” o quello che si “scioglie” o quello ancora che si “distrae…/ fermandosi a guardare/ l’anima delle cose” oppure quello che “sembra un fluire” e che sosta ogni tanto su di una “panchina”), restituiscono quasi dimensioni primarie, nelle quali e con le quali l’uomo si definisce. Spazio e tempo che si incontrano: “ci incontra un mondo concavo/ Ospita un tempo chiuso/ …/ Che curvo, pensa d’esserci/ ad ospitare stelle/ per qualche scopo atteso”. L’elemento geometrico gioca un ruolo importante proprio per il suo valore di misura, come il verso, il ritmo, la parola (Si svela alla parola. Ovvero il gatto di Schödinger, che è un esperimento mentale il quale illustra come, nell’ interpretazione “ortodossa” (della meccanica quantistica), possano derivare anche risultati paradossali). Anche questo paradosso è poesia, alla quale è dato il compito di essere “canto” o “ritmo perduto”, in cui poter prolungare l’“infinito”;  oppure poesia è parola “spezzata” che “chiede tutto il respiro/al senso che l’attende”. Il tempo, cui è dedicata una sezione del libro (Del tempo) si osserva agevolmente nel suo stare, come nel suo mutamento, nella parte dedicata alle città. Altro fondale della caverna non euclidea di Isetta è la relazione tra il reale, l’immaginario e la mente, trittico di parole sulle quali il secolo passato ha costruito con forza feconde riflessioni, unendo universi ‘fratelli’. Si vedano ad esempio il termine “gironzolare” (che evoca tanto il “girovago” ungarettiano, quanto la flânerie di Baudelaire) o la preposizione “dentro” (dentro le pagine/lascio lì tutto”), che apparentemente si respingono e che, invece, per paradosso?, appartengono al senso della parola poetica, a quel senso (si veda Genesi (Senso): la “parola che da se stessa si dipanò/ tessendo il mondo”) che procede sia dall’ “Eden” che dalla “caduta”. Squarci di natura o di paesaggi (si prediligono le immagini dell’aria, alberi (con la felice metamorfosi dei “versi sottili come rami”), l’acqua che “sobbalza” e “scalpita” tra le pietre nelle poesie di Isetta non sono accessori decorativi, ma sono rivelatori di senso; parametri non del sogno, ma della realtà della physis, da cui si deducono ragionamenti e “intenzioni”.

Cecilia Ghelli

Bruno Piccinini, CREDERE NEL CORPO, Passigli poesia, 2016

La soglia introduttiva della raccolta di versi di Bruno Piccinini è consegnata alla sezione eponima, in cui “figure-corpi” entrano nella visione da “dormiveglia” con nomi e cognomi, senhal del corpo, che è e che fu, di cui si tracciano brevemente le storie nel culmine che svela il loro destino e il senso del loro vivere. Questa teoria di figure è priva di sentimentalismo: “ferite”, malattie, infelicità o gioia ricordata come per Daria e Paolo C. sono i colori del viaggio della vita, restituiti da una giusta distanza non priva di affettuosità. Il corpo è, dunque, un centro di alto significato e non è il corpo pubblicitario o patinato, bensì una testimonianza del vivere fatto di salute e malattia (“febbre”, “nevo”, “parkinson”), emblema dell’umano. Perché, come ci ricorda un’altra sezione, Resurrexit, il corpo, è un vero e proprio “tempio”. Seguendo moduli e stilemi della poesia religiosa, esso non è solo il luogo della caducità, ma è destinato a “risorgere”, perché “la luce del corpo supera la morte, …/una stella chiara/ riconduce al senso ogni limite e perdita,/ riproduce l’ascolto/ il fuoco della vita.” Terminale – Oltre il portone, intessuta del dialogo con i morti (lo sfumare tra vita e morte come in Oltre il cancello o Terminale, o Mutamenti, proietta il destino umano nel “collasso” delle stelle che “decadono/ a nuova identità/ in paesaggi di materia inerte”).  Il poeta, che si definisce “controfigura”, osserva e descrive la vita come un viaggio, all’interno del quale molto conta il rapporto con la parola, sia nel suo valore di segno referenziale, sia come parola poetica.  E’ la “voce-parola” o quella parola “suono” “filamento” che forse potrebbe dare “risposta alla vita”.  Interessanti le parti relative al paesaggio, mai descritto nella sua plenitudine, semmai colto nelle sue zone d’ombra o nei luoghi-non luoghi minimi: -essenze di vita, come si legge in Il quartiere senza luogo. Altro aspetto che colpisce: la riflessione sulla dimensione del tempo. Le onde di questo tempo umano e oltreumano (“solo il tempo conosce se stesso”, “è solo il tempo che si spezza e frantuma”) che prende anche la forma del “destino compiuto”, è il nucleo stesso che unisce, con il suo fondale privo di colori e segni, ma carico di tante vite vissute, il colloquio tra il vivere e il morire: stessa forma di identità.

Cecilia Ghelli

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