La felicità di leggere un classico. Ovidio come Stephen Dedalus

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Lunedì 18 dicembre ad Acqui Terme Nicola Gardini (Oxford University) incontra gli insegnanti e gli studenti per presentare il suo Ovidio (Con Ovidio. La felicità di leggere un classico, Milano, Garzanti, 2017). Presentiamo in anteprima la recensione che Cecilia Ghelli ha scritto per Archicultura.

 

 

Con Ovidio. La felicità di leggere un classico di Nicola Gardini, che è già stato ospite di Archicultura nel novembre del 2012, quando ha illustrato il suo romanzo Le parole perdute di Amelia Lynd (Feltrinelli 2012, premio Viareggio-Répaci) e che ritorna ad Acqui il 18 dicembre per parlarci del suo Ovidio, è un saggio-romanzo. Questo vuol dire che il lettore legge del grande poeta – nato a Sulmona nel 43 A.C. e morto nell’odierna Romania a Tomis (l’attuale Costanza) il 17 D.C. – vivendolo come un vero e proprio personaggio romanzesco. Per ciò i pensieri e le azioni di Publio Ovidio Nasone escono dallo spazio di un manuale per entrare direttamente nella mente del lettore come se ci si tr
ovasse di fronte alla forza giovanile di Stephen, protagonista di Dedalus, ovvero Ritratto dell’artista da giovane di James Joyce, citato da Gardini (p. 144). Anche Nasone – Gardini spiega l’importanza di questo cognomen, senhal della scrittura, che compare più volte nelle opere di Ovidio, che è il suo nomen (cap.6) -, viene sedotto dalle epifanie come poi accadrà a Stephen; ambedue rinunciano all’ordine costituito del potere politico l’uno, della religione l’altro, per seguire il sogno della scrittura. Perché a un certo punto della vita per scrittori o poeti significativi e fortemente simbolici, la scrittura, lo stile sono tutto e divengono parte inconsutile del vivere. Quindi l’Ovidio-Nasone di Gardini è un protagonista assoluto, il cui “patto autobiografico” fa della passione poetica la sostanza del suo stesso vivere, fino alla condanna dell’esilio, per un motivo non perfettamente noto, da parte di Augusto. Il grande imperatore, che aveva trovato in Virgilio un illustre sostegno dei fasti romani nel metaforico racconto epico dell’Eneide, sente come pericolosa “l’indipendenza dei messaggi [della poesia] dal controllo della legge” (p. 130), come ad esempio la predilezione per l’elegia e non dell’epica (leggi Eneide).

Publio Ovidio Nasone

Il saggio-romanzo, però, procede anche dall’attività di romanziere, oltre che di studioso, che è Nicola Gardini, il quale evidentemente è affascinato dalla “metamorfosi” della scrittura, e trova in Ovidio un “autore profondo”. Se ripensiamo ad alcuni suoi romanzi i protagonisti sono sempre caratterizzati da una passione originaria per le lettere, fin dal Kino di Le parole perdute di Amelia Lynd, per arrivare a Sergio, protagonista di Fauci e a La vita non vissuta, nelle cui pagine appare il nome di Ovidio più volte oltre a quello di un famoso professore di latino della Statale di Milano. Sarà suggestione, ma anche in Con Ovidio troviamo un impulso, uno spunto romanzesco: un viaggio in Romania per accompagnare Susan, docente di inglese all’università di Bucarest e contemporaneamente ricercatrice attorno alla caduta di Ceausescu, che permetterà a Gardini di calcare la terra dove morì Ovidio. Poeta dell’“incertezza”, Nasone trova il modo di esprimere quel sentimento conoscitivo e non negativo nella poesia, arte della” realtà”, che però non è mai piatto conteggio di essa, ma respiro della forza grandiosa della metafora, ambivalente e nello stesso tempo precisa. Non a caso le Metamorfosi (e la vastità della loro tessitura metaforica), grande opera tra le grandi di Ovidio, diventano il luogo del narrare infinito, della ricerca di un’origine mai raggiunta, perché non è il mondo platonico dell’“Idea” fissa, che attira il poeta latino, piuttosto il fatto di trovarsi in un universo di “copie” (cap. 13-15) dove “la natura scambia/ questa forma con quella; e nulla muore,/ credetemi, nell’universo intero,/ bensì varia e rinnova la sua faccia”. Così Ovidio fa dire a Pitagora, reincarnazione del troiano Èuforbo che colpì Patroclo (cap. 15), perché si ribadisce come “Tutto muta, / nulla muore. Lo spirito va errando” (Metamorfosi, XV). La metamorfosi è colei che “rifonda il linguaggio portando alla luce un contenuto segreto”, che è l’“incertezza”, l’”instabilità dei corpi” e, nella labilità dell’esistenza, “una ricerca di autenticità” (cap. 16). Ovidio è anche colui che ha ricreato un linguaggio poetico, costruito su poche parole-guida, che sono “archivio dell’immaginazione”: “forma, figura, simulacrum, species, facies … imago”, molto simili all’italiano, Gardini asserisce di amarle moltissimo, nonostante le possibili differenze semantiche, perché grazie alla loro appartenenza al latino sono, proprio per questo, “doppio, ombra lunga, mistero, senza cui la nostra lingua è ben povero rimasuglio” (cap. 16). E qui si respira l’aria di Viva il latino, il racconto di questa lingua, uscito nel 2016. Ma c’è di più. Ovidio è interessante e stimolante perché nelle sue poesie, come sanno fare i grandi, non ha falsi pudori: la sua poesia è anche una mappa della mente umana e del meccanismo dell’immaginazione, a costo di dover sposare la tesi delle “fantasie sostitutive, alterazioni della coscienza che rinnovano il rapporto tra mente

Nicola Gardini

e mondo, impossibili da condividere, ma mai “inautentiche” (cap. 14): il sogno e la fantasia aiutano, come le illusioni leopardiane, a guardare la vita. Sentiamo cosa scrive da Tomis, fantasticamente pensando che sia Roma: “Io di lontano questo guarderò con la mente: / lei ha diritto sui luoghi a me negati; / lei libera s’espande per territori immensi, / lei sale al cielo con veloce corsa” (Tristia, IV). All’origine di quanto detto c’è, però, quel famoso libro, L’arte dell’amore, in cui ci dice il poeta “della vita qui scrivo: ecco un poeta esperto; / vi canto la realtà …”, cioè quella pratica quotidiana che è il suo “peccato” e che lo condanna, proprio mettendo in luce ciò che negli Amori viene messo in scena: la mancanza di fede negli dei e nella tradizione.

 

 

La seconda parte del titolo del libro, “la felicità di leggere un classico”, ci confronta con due parole storicamente impegnative. Felicità, sentimento, come dice T. S. Eliot nei Quattro quartetti, “di cui ci è sfuggito il significato” benché lo si sia sperimentato. E poi classico, che per estensione, si può dire sia una parola che contiene la storia del mondo. Gardini non teme di pronunciarla, le toglie in un certo senso la polvere e ce la ripresenta secondo la lezione di Italo Calvino, che già nel postumo Perché leggere i classici (1991) proponeva agilmente la questione, scegliendo anche Ovidio. Gardini raccoglie l’invito e si aggira nel “castello”, nella “città”, nella “costruzione grande, immensa, che lascia a bocca aperta” che le antiche pagine di Ovidio, le sue “tavolette di cera”, sono (cap. 2). Perché Leggere o ri-leggere Publio Ovidio Nasone? Perché significa anche, simbolicamente, osteggiare la “violenza irrazionale – ma spesso intenzionale – che nei secoli ha disperso la letteratura antica.” (cap. 2).

Cecilia Ghelli

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