Passaggi curvi. Poesie non euclidee

 

Il titolo di questa raccolta di poesie di G. IsettaPassaggi curvi. Poesie non euclidee , indica il procedere oltre, verso una meta non puntualizzata, ed offre al lettore l’idea di un work inprogress, di un movimento verso il vasto della vita quale ventaglio dei possibili, come suggerirebbe la seconda parte del titolo, poesie non euclidee, poesie attirate dal fascino degli spazi curvi, pronte a seguire movimenti la cui consistenza è anche ombra e cavità. Se si scorrono i titoli delle sezioni di questo libro (Universi e geometrie, Del tempo, Il caso, Il senso, Dell’amore), siamo subito introdotti all’idea di un piccolo trattato sulle coordinate della vita. La ricerca e la curiosità sono tutte intorno all’ “esile vita”, vita simile al “fruscio degli alberi” (l’antica metafora ritorna, comunicando l’idea di movimento, di atomi lucreziani aggiornati magari negli attuali bosoni), nastro su cui si incidono sogni, delusioni, speranze. Lo spazio, in cui vivono le “forme del mondo” e il “tempo” (ora descritto come “cerchio” o quello che si “scioglie” o quello ancora che si “distrae…/ fermandosi a guardare/ l’anima delle cose” oppure quello che “sembra un fluire” e che sosta ogni tanto su di una “panchina”) restituiscono quasi dimensioni primarie, nelle quali e con le quali l’uomo si definisce. Spazio e tempo che si incontrano: “ci incontra un mondo concavo/ Ospita un tempo chiuso/ …/ Che curvo, pensa d’esserci/ ad ospitare stelle/ per qualche scopo atteso”. L’elemento geometrico gioca un ruolo importante proprio per il suo valore di misura, come il verso, il ritmo, la parola (Si svela alla parola. Ovvero il gatto di Schödinger, che è un esperimento mentale il quale illustra come nell’ interpretazione “ortodossa” (della meccanica quantistica) possano derivare anche risultati paradossali). Anche questo paradosso è poesia, alla quale è dato il compito di essere “canto” o “ritmo perduto”, in cui poter prolungare l’“infinito”, oppure parola “spezzata” che “chiede tutto il respiro/al senso che l’attende”. Il tempo, cui è dedicata una sezione del libro (Del tempo) si osserva agevolmente nel suo stare, come nel suo mutamento, nella parte dedicata alle città. Altro fondale della caverna non euclidea di Isetta è la relazione tra il reale, l’immaginario e la mente, trittico di parole sulle quali il secolo passato ha costruito con forza feconde riflessioni, unendo universi ‘fratelli’. Si vedano ad esempio il termine “gironzolare” (che evoca tanto il “girovago” ungarettiano, quanto la flânerie di Baudelaire) o la preposizione “dentro” (dentro le pagine/lascio lì tutto”), che apparentemente si respingono e che, invece, per paradosso?, appartengono al senso della parola poetica, a quel senso (si veda Genesi (Senso): la “parola che da se stessa si dipanò/ tessendo il mondo”) che procede sia dall’ “Eden” che dalla “caduta”. Squarci di natura o di paesaggi (si prediligono le immagini dell’aria, alberi (con la felice metamorfosi dei “versi sottili come rami”), l’acqua che “sobbalza” e “scalpita” tra le pietre nelle poesie di Isetta non sono accessori decorativi, ma sono rivelatori di senso; parametri non del sogno, ma della realtà della physis, da cui si deducono ragionamenti e “intenzioni”.