ODE PER UN’ESTATE SUICIDA
Vanno incespicanti i miei passi,
calpestano i piedi a gibbose e fragili montagnole di tufo,
incedono verso un lontano orizzonte
da cui li separa un burrone di prati e vigne.
L’Estate obsoleta si colora di rubicondo e ocra,
si butta ansimante dietro le colline,
troppo verdi ormai per non indorare.
Azzurra e malinconica, come un’amante di marinaio,
ferita a morte, schizza sangue dal petto trafitto,
lasciando una scia di sacrificio dietro a sé.
Repentine le corron dietro
le ore dello stanco giorno,
avanza taciturno il buio,
bardato d’ambigua solennità.
Fredda mano assassina, dell’invidioso,
mesto Autunno, infrange fragili pensieri,
puri petali nel vento. Basta un soffio, infatti,
una brezza leggera, per ridestarmi dalla mia sorda cecità.
Subito mi tornano in mente, impresse nelle mie rosse vene,
sovrane e principesse che padroneggiarono il mio tempo.
Attimi, nebulosi fotogrammi, stralci di ricordi
attinti dal pozzo della mia esistenza, vanno e vengono
continuamente, con discrezione ed eleganza.
Francesco Maria Bonicelli