PARMA
I
Domani, un mattino sottile, agile di luce spero
possa salpare sulla mia pelle e riempirmi l’animo
come mi accade con fiori appena sbocciati;
che lavi le mie pupille dalla bruma che ristagna,
che se la porti in esilio, cosicchè io possa di nuovo farti visita.
II
L’angolatura levigata delle tue case è impressa in me.
L’ho sentita farsi vicina negli anni che seguirono il nostro incontro.
Il fiume che ti fende gentile,
una notte di dicembre mi disse, che con te dovevo riamanere,
lì sarebbe stato tutto il mio futuro.
Non mi hai convinta al primo abbraccio,
cercavo altri luoghi in cui specchiarmi,
qualche lacrima scivolata sui marciapiedi tuoi, nascostamente,
nascostamente attendevo lo slaccio della matassa.
L’amore, poi, con chiarità mi giunse:
ingoiato d’un fiato ogni siepe, selciato, mattone,
ogni antico androne.
Città che mi hai raccolta aprendomi la porta,
città che mi hai cucito l’ossa,
città che mi son sentita vicina, ogni tempo, ogni mattina,
città che mi hai custodita certa ogni sera deserta,
città che mi hai osato sino alla cima.
III
Voglio rivederti dalla collina,
voglio custodire nell’urna del mio stelo,
lo scorrere pacato, delle acque, tue, di velo,
voglio racchiudere nell’andarivieni, quei giorni che so, furono sereni,
voglio contare i fiati dei passi miei lasciati, i portoni attraversati.
IV
A mancarmi, tu, ora, a mancarmi, all’affacciarsi di ogni aurora
Tornerò bella, elegante città,
tornerò per riascoltare tutti gli umori dentro e fuori,
toccherò con palmo leggero il Battistero.
Vorrò perdermi tra la gente tua laboriosa,
essere tuo petalo, tua corolla di rosa,
vorrò perdermi fra compagni miei di corso,
essere il loro dorso, sorso del nostro percorso.
V
Città incantevole e leggiadra,
città di cristallo, di marmo, di giada,
città che ti presenti intatta, di via, in via
ad ogni mio palpebrale mattutino,
città di musica, di carne, di vino,
città deel’ultima volta, quando ci siamo dette arrivederci, non addio.
Città che ritorni come giardino nutrito dietro le facoltà,
come voce nitida e ridente dello studente,
come inverno fumido o soleggiato, come inverno lontano,
città che ritorni come stretta di mano,
città che riappari, di qua, di là dal fiume,
travolgendomi tersa oltre lo spiro del ricordo,
città che ti dischiudi tremula ogni volta, ogni volta città risorta,
città del mio ultimo saluto, quella sera di maggio,
dal raggio, di porpora, caduto.
Patrizia Santi