L’incidente

Fu un colpo frontale

un doppio sorpasso con un morto e due feriti.

Seduto alla guida il ragazzo gridava.

Vedevo le sue ossa spuntare dalle cosce

perforavano il buio come due candidi gigli.

Ci estrassero con la fiamma ossidrica.

Le lamiere erano petali di mostruosi fiori notturni.

Le luci volavano come aironi nel cielo,

le scintille ci cadevano intorno

in cascate di piccoli fuochi.

Ho visto la morte in tutta

la sua astratta bellezza:

era bianca, senza rimorso,

svuotata da ogni promessa.

Le ambulanze aspettavano

con le bocche spalancate.

C’erano le voci nervose degli uomini,

il sangue scorreva.

Al pronto soccorso dissero a mio padre

che ero fortunata: solo lo shock dell’impatto

e un taglio sul lobo sinistro.

Lui non ci credeva.

“Lasciatemi entrare”- insisteva.

Ma di là c’erano i morti, i dottori,

le sacche di sangue

svuotate come turgidi seni dai corpi feriti.

Stesa sul letto, ho sentito la porta che si apriva

poi ho visto il viso di mio padre.

Era la bestia impaurita,

appena scampata al coltello.

La testa infilata nella fessura,

mi fissava come fanno i bambini di notte

quando non dormono.

Fece solo un piccolo cenno con la mano.

Sorrideva.

Forse aveva negli occhi la stessa sorpresa

del mattino quando ero nata.

Forse era quello lo sguardo

di quando mi aveva visto ancora sporca di parto,

appena arrivata.

Fu solo un attimo.

L’infermiera richiuse di colpo la porta.

Galleggiavo nel bianco.

L’odore di alcol nell’aria,

l’orecchio cucito.

Daniela Raimondi